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Umbria Rapporto immigrazione 2021

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In calo, anche in Umbria, gli immigrati. Due i principali fattori del decremento: gli effetti delle misure anticovid e le acquisizioni della cittadinanza italiana

Diminuiscono i permessi di soggiorno

Oggi, presentato il Dossier Immigrazione, con i dati sull’andamento e le caratteristiche della popolazione straniera

 

Il coordinatore della Consulta Immigrazione, Bazzucchi: “Dati su cui riflettere e su cui calibrare nuove strategie politiche”

 

Cambia il quadro migratorio in Umbria, come nel resto d’Italia, anche a seguito degli sconvolgimenti determinati dalla pandemia. E’ quanto emerso dal Dossier Statistico Immigrazione, giunto alla 31a edizione e presentato questa mattina, nella sala del Consiglio della Provincia di Perugia.

Si tratta del rapporto socio-statistico sulle migrazioni in Italia, con un focus sull’Umbria, curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS, da sette anni in collaborazione con il Centro Studi Confronti e, da questo anno, anche con l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.

Il Dossier evidenzia come a fine 2020 risiedevano in Umbria 91.875 stranieri rispetto ai 92.339 di inizio anno. In 12 mesi il loro numero è diminuito dello 0,6%, al pari di quello della popolazione complessiva (scesa a sua volta da 870.165 a 865.013 unità). Per effetto di questa dinamica, il peso degli stranieri sul totale dei residenti si è mantenuto stabile al 10,6%, restando superiore di circa 2 punti percentuali alla media nazionale (8,5%).

Sul fonte economico, la popolazione straniera mostra un calo un po’ più consistente del numero di occupati (quasi 1.800 posti di lavoro; -3,9%), prevalentemente a carico della componente femminile (tra le donne il calo è del 7,7%).

La scuola: Nell’anno scolastico 2019/2020 gli studenti stranieri sono 16.577, senza variazioni degne di nota rispetto all’anno precedente ed incidono per il 13,9% sull’intera popolazione scolastica.

I RELATORI

Per il coordinatore della Consulta Immigrazione, Gabriele Bazzucchi il Dossier rappresenta un “prezioso contributo scientifico, sociale e culturale su cui tutte le Istituzioni sono chiamate a riflettere. Quello dell’immigrazione – ha aggiunto – è indubbiamente un tema complesso e articolato, che, tuttavia, va governato. Come Anci Umbria stiamo osservando il fenomeno. Questi dati che ci consegnano una contrazione dei flussi di immigrazione sia a livello locale, sia nazionale, associato con la fase pandemica in corso, devono incentivare possibili strategie di risoluzione, anche a livello di servizi e interventi mirati per coniugare l’integrazione, la riqualificazione sociale e la ripresa”.

Alessandro Maria Vestrelli, dirigente Servizio Programmazione  della rete dei servizi sociali della Regione Umbria ha evidenziato come “il dossier sia un utile strumento a conoscere la nostra realtà in evoluzione”. Eleonora Bigi, responsabile Sezione Immigrazione della Regione Umbria, nel presentare i principali dati umbri, ha sottolineato come “siano in linea con il quadro nazionale, con un calo di residenti stranieri in Umbria, superiore, seppure di poco, a quello nazionale”.

Anche per Giovanni Carnesi, referente nazionale settore Immigrazione Patronato Enasc, “il dossier mostra una fotografia precisa del nostro territorio utile ai 47 patronati italiani per mettere in campo azioni mirate”. Serena Pippi, Diaconia Valdese Perugia “il calo dell’immigrazione è un impoverimento per il tessuto sociale del territorio”.

Due gli aspetti evidenziati da Guy Yves Arnaud Amian, project manager e socio Assidu – associazione degli ivoriani dell’Umbria e Ponte d’Incontro 3.0:  “La grinta degli immigrati, perché quando lasciamo i nostri paesi di origine, perdiamo tante cose e quando arriviamo qui siamo già pronti ad affrontare una nuova vita; le associazioni sono fondamentali con il contributo che possono dare allo sviluppo socio-economico dell’Umbria”.

I DATI

Residenti stranieri

Il calo dei residenti stranieri registrato nel 2020 è risultato leggermente accentuato rispetto a quello dell’anno precedente (-0,5%). Oltre al decremento del saldo naturale (901 nuovi nati a fronte di 175 decessi, per un saldo positivo di 726 unità rispetto alle 823 del 2019), ad incidere su tale andamento è stata la diminuzione del saldo migratorio con l’estero (+2.754 rispetto a +3.488 dell’anno precedente), su cui hanno pesato soprattutto gli effetti delle misure antiCovid di chiusure delle frontiere (le iscrizioni e le cancellazioni anagrafiche da e per l’estero sono diminuite rispettivamente del 30,9% e del 44,4%), e le acquisizioni della cittadinanza italiana (2.614), risultate tuttavia in lieve calo rispetto all’anno precedente (2.921). Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, in provincia di Perugia risiedono 69.459 residenti stranieri (il 75,6% del totale regionale), in calo dello 0,5% rispetto al 2019, mentre in quella di Terni 22.416 (-0,9%). In provincia di Perugia l’incidenza degli stranieri sul totale dei residenti resta leggermente superiore alla media regionale, risultando pari al 10,8%. Romania, Albania e Marocco continuano a rappresentare le tre nazionalità più numerose in regione, rispettivamente con 24.847, 11.489 e 9.178 residenti, seguite da Ucraina (4.654) e Nord Macedonia (3.375). A livello continentale, il 61,0% dei residenti stranieri proviene dal continente europeo (tra cui il 34,2% da un paese Ue), circa un quinto dall’Africa (20,4%) e poco più di un decimo dall’Asia (10,3%). Sul versante dei permessi di soggiorno, a fine 2020 i cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in regione ammontavano a 55.323 unità, circa 5.000 in meno rispetto all’anno precedente. Il calo ha interessato sia i titolari di un permesso di lungo periodo (-1.034, i quali rappresentano il 65,4% del totale), sia, in misura più ampia, i titolari di un permesso a termine (-4.059), tuttavia, se per i primi il calo è attribuibile in molti casi alle acquisizioni di cittadinanza italiana, di cui il permesso di lungo periodo costituisce sovente l’anticamera, per i secondi è plausibile che il calo sia dovuto almeno in parte all’impossibilità di rinnovo del permesso di soggiorno (con una conseguente caduta nell’irregolarità), a causa delle aumentate difficoltà imposte dalla pandemia sul piano lavorativo e reddituale, nonché in termini di isolamento sociale.

Tra titolari di un permesso a termine risultano in diminuzione tutte le principali categorie di permesso: i soggiornanti per motivi di lavoro (-1.407, i quali rappresentano un quinto del totale: 20,9%), per motivi di famiglia (-1.353; 60,9%), così come quelli per studio (-213; 5,0%) e per protezione internazionale ed ex umanitaria (-871; 10,4%). A incidere sul calo dei soggiornanti a termine è stata anche la contrazione dei nuovi ingressi nell’anno, dovuta, anche in questo caso, alle misure di limitazione agli spostamenti internazionali per far fronte alla diffusione dei contagi. I permessi rilasciati per la prima volta nel 2020, infatti, sono diminuiti complessivamente a 1.463 unità, risultando quasi dimezzati rispetto all’anno precedente (42,3%). La contrazione ha interessato soprattutto i permessi per motivi familiari (scesi a 745, -37,2%) e per lavoro (60, -65,3%) e in misura meno accentuata, ma altrettanto consistente se paragonata al trend degli anni precedenti, quelli per protezione internazionale ed ex umanitaria (191, -47,8%) e per studio (341, -49,1%). Diminuiscono anche i migranti ospitati nei centri di accoglienza regionali. A fine 2020 si contavano 1.289 presenze, l’1,6% del totale nazionale, in calo del 13,4% rispetto ad un anno prima. Di questi, la quota minoritaria, il 26,0%, è ospitata nella rete Sai – Sistema di accoglienza e integrazione (ex rete Siproimi), mentre la maggior parte, il 74,0%, si trova in un centro di accoglienza straordinaria. Nei primi sei mesi del 2020, il loro numero è diminuito ulteriormente, attestandosi a 1.239 unità.

Economia, lavoro, occupazione

La situazione pandemica ha colpito pesantemente l’economia umbra, incidendo su un sistema economico regionale già indebolito dalla precedente fase di crisi; i dati indicano un calo del PIL del 9,0% e una diminuzione dell’1,8% degli occupati, con importanti differenze tra i lavoratori a tempo indeterminato (tra cui si registra un incremento dell’1,7%) e i lavoratori con contratti a termine che non hanno potuto godere della protezione data dai vincoli sui licenziamenti (tra di loro il calo dell’occupazione è stato del 17,6%)1. I dati Rcfl-Istat mostrano una flessione dell’occupazione che è scesa da 363mila a 356mila unità, con una perdita di quasi 6.500 posti di lavoro, che ha colpito prevalentemente il settore dei servizi (-8.464; -3,3%), in particolare quelli commerciali, alberghieri e della ristorazione (-6,4%), per effetto delle restrizioni alla mobilità indotte dal lockdown e il conseguente calo dei consumi e del turismo, e l’agricoltura (-2.446; -15,5%) che ha registrato un calo in alcuni settori produttivi e nelle attività secondarie come quelle agrituristiche. Viceversa, l’industria, e in particolare il settore edile, hanno tenuto maggiormente, registrando un recupero più rapido delle perdite di fatturato della prima parte dell’anno, nello specifico a fine 2020 l’industria in senso stretto ha assorbito 2.965 posti di lavoro in più (+4,3%) e l’edilizia 1.498 (+7,1%). All’interno di questo contesto, la popolazione straniera mostra un calo un po’ più consistente del numero di occupati (quasi 1.800 posti di lavoro; -3,9%), prevalentemente a carico della componente femminile (tra le donne il calo è del 7,7%). Analizzando l’occupazione per settore si nota una perdita di lavoro nel settore agricolo (dove l’occupazione straniera cala del 13,3%, ma comunque meno di quella italiana -16,2%) e nei servizi (-8,4%), di cui buona parte sono posizioni perse nel lavoro domestico (-5,2%). Di contro il buon andamento del comparto edile e dell’industria in senso stretto hanno prospettato opportunità occupazionali anche per la popolazione straniera, determinando un incremento del 16,8% degli occupati nelle costruzioni e un incremento del 6,5% nell’industria in senso stretto. Il numero di disoccupati stranieri è calato dell’8,4% e di conseguenza anche il tasso di disoccupazione è passato dal 18,2% del 2019 al 17,5% del 2020, dato che si spiega anche in ragione del numero più alto di inattivi (ossia di persone che non si dichiarano interessate a lavorare o a cercare un impiego) rispetto all’anno precedente. Rimane comunque elevato il divario con la popolazione italiana dove il tasso di disoccupazione (6,7%) è quasi un terzo di quella straniera. L’inserimento in professioni meno qualificate e generalmente meno appetibili per gli italiani, non subisce modifiche sostanziali: il 64,6% degli stranieri svolge un lavoro manuale, di cui il 35,3% non qualificato (rispetto al 7,5% degli italiani), mentre solo il 5,6% riesce a collocarsi in professioni tecniche, intellettuali o dirigenziali (rispetto al 39,2% degli italiani). Questa segmentazione del mercato del lavoro, nota e sostanzialmente immutata negli anni, si ripercuote nelle differenze di retribuzione: in media 1.350 euro mensili tra i lavoratori italiani e 970 tra gli stranieri. Comporta, non da ultimo, un depauperamento di competenze tecnicoprofessionali che non va solo a scapito degli immigrati, ma dell’intera società, il fatto che ben il 50,5% dei lavoratori stranieri è sovraistruito, cioè svolge una mansione non congrua rispetto al titolo di studio. Le imprese immigrate sono 9.059 secondo i dati Infocamere/G.Tagliacarne, in crescita del 2,5% rispetto all’anno precedente, mostrando un maggior dinamismo rispetto alle imprese italiane (-0,5% nello stesso periodo). I dati relativi alle sole imprese individuali indicano un inserimento prevalente nei servizi (55,5%), in particolare nel comparto del commercio (35,2%), e nell’industria (35,1%), soprattutto nell’edilizia (27,9).

Scuola

Nell’anno scolastico 2019/2020 gli studenti stranieri sono 16.577, senza variazioni degne di nota rispetto all’anno precedente ed incidono per il 13,9% sull’intera popolazione scolastica. Nella maggior parte dei casi (70,4%) sono giovani nati in Italia, soprattutto negli ordini di scuola inferiore, dove la quota delle seconde generazioni è ancora più alta (86,2% nella scuola dell’infanzia; 80,9% nella scuola primaria) rispetto a quando accade nella secondaria di I e di II grado (rispettivamente 70,0% e 48,9%). La scelta del percorso di studi condiziona ancora il destino di questi ragazzi se si considera che il 32,0% degli iscritti alle secondarie di secondo grado opta per una scuola professionale (16,7% tra gli italiani), il 32,1% per un tecnico (27,4% tra gli italiani) e il 35,9% per un liceo (55,9% tra gli italiani).

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