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AREE INTERNE: NON PERIFERIE DEL PAESE, MA SUO MOTORE SILENZIOSO

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Come Presidente di Anci Umbria, rappresentando decine di Comuni che ogni giorno affrontano le sfide – ma anche le opportunità – proprie delle cosiddette aree interne, sento il dovere di intervenire con chiarezza e spirito costruttivo sul recente dibattito generato da alcuni passaggi contenuti nel nuovo Psnai (Piano strategico nazionale per le Aree interne) 2021-2027.

Il progetto delle aree interne non è mai stato una misura accessoria o assistenziale: si tratta di un vero e proprio modello culturale e istituzionale, un laboratorio concreto di collaborazione tra livelli di governo, che ha riportato al centro dell’agenda nazionale territori e comunità per troppo tempo dimenticati. In questi anni, sindaci e amministratori locali hanno investito tempo, competenze ed energie per costruire strategie di sviluppo in grado di contrastare spopolamento, isolamento infrastrutturale e perdita progressiva di servizi essenziali.
Per questo motivo non possiamo permetterci alcun passo indietro, né tantomeno arrenderci alla rassegnazione. Siamo Sindaci, istituzioni e cittadini delle aree interne: a noi spetta l’onere – e l’onore – di proporre visione, soluzioni e futuro.
Le aree interne non sono un problema da gestire, né una parte del Paese da accompagnare con rassegnazione verso un epilogo inevitabile. Al contrario, rappresentano una risorsa strategica per l’equilibrio sociale, ambientale ed economico dell’Italia.
Oltre il 50% dei Comuni italiani si colloca in queste aree, veri scrigni di biodiversità, cultura, relazioni comunitarie, imprenditorialità diffusa e risorse naturali. Eppure, se ne parla quasi esclusivamente in termini di diritti da garantire a chi vi risiede, trascurando il fatto che proprio questi territori forniscono servizi vitali anche alle aree urbane: approvvigionamento idrico, tutela del suolo, regolazione climatica, salvaguardia della biodiversità, produzione alimentare di qualità.
Tutto ciò è possibile grazie alla cura quotidiana di territori troppo spesso etichettati come “marginali”.

Senza le aree interne, l’Italia perderebbe non solo equilibrio ecologico, ma una parte fondamentale della sua identità culturale, paesaggistica e produttiva.
Se in alcuni casi gli obiettivi della Snai (Strategia nazionale per le Aree interne) non sono stati pienamente raggiunti, è evidente che la responsabilità non ricade sui territori, bensì su una filiera istituzionale ancora troppo lenta, strumenti operativi poco flessibili e parametri talvolta inadeguati.
È tempo di ripensare il modello con coraggio e visione.
Un primo passo imprescindibile è l’introduzione di una fiscalità di vantaggio strutturale. Non si può parlare di sviluppo reale senza prevedere condizioni fiscali e contributive differenziate, capaci di incentivare reinsediamento, nuova impresa e occupazione nei piccoli Comuni.
Se al Mezzogiorno sono state riconosciute le Zes (Zone economiche speciali), le aree interne meritano altrettanto: serve istituire vere e proprie zone a fiscalità incentivata, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione, per realizzare un autentico riequilibrio territoriale.
In secondo luogo, occorre rilanciare e rafforzare il modello di governance partecipata che è alla base della Snai. Questo significa: rimettere i Comuni al centro della pianificazione strategica; potenziare la capacità tecnica degli enti locali; semplificare le procedure e accelerare la spesa.
Superare campanilismi, provincialismi e logiche regionali è oggi una priorità: serve una visione nazionale unitaria che consideri le aree interne come un punto di forza strategico, e non la somma delle fragilità locali.

Occorre agire concretamente per realizzare una sanità territoriale più vicina alle persone, riorganizzando in modo intelligente gli ospedali ma soprattutto capillarizzando i servizi sociosanitari.
Anche il sistema dei trasporti va completamente ripensato, su scala interregionale e per macroaree omogenee, affinché ferrovia e Trasporto pubblico locale su gomma diventino strumenti efficaci e sostenibili, utili anche alla transizione ecologica.
Le scuole – oggi minacciate da invecchiamento e calo demografico – vanno ripensate subito in chiave intercomunale, puntando su trasporti scolastici efficienti, nuove forme organizzative e modelli educativi capaci di garantire accessibilità, qualità e sostenibilità.
In Umbria, i primi interventi della Snai hanno già prodotto risultati importanti: nascita di cooperative di comunità, rafforzamento dei servizi sociosanitari, scuole più accessibili, borghi riattivati grazie all’iniziativa delle comunità locali.
Ma non basta. Serve un salto di qualità, una strategia che consideri le aree interne una leva da attivare, non una deriva da accompagnare.
Le grandi sfide del futuro – transizione ecologica, digitalizzazione, sicurezza alimentare, riequilibrio demografico – non si vincono solo nelle metropoli. Al contrario, è nei territori delle aree interne che innovazione, comunità e qualità della vita possono trovare la loro sintesi più autentica.

Come Anci Umbria, siamo convinti che saranno proprio le aree interne a trainare lo sviluppo del Paese, se sapremo mettere a sistema le tante energie oggi in movimento: giovani agricoltori, artigiani digitali, operatori del turismo lento, medici di prossimità, volontari, reti civiche, amministratori locali determinati.
È fondamentale, in questo percorso, promuovere solidarietà istituzionale e collaborazione tra grandi, medie e piccole città, con l’obiettivo comune di migliorare la qualità della vita delle nostre comunità.
Chi ha responsabilità di governo oggi non può permettersi il lusso della rassegnazione, né quello dei contrasti sterili. Dietro ogni decisione ci sono le vite, le speranze e il futuro di migliaia di cittadini.
Non servono narrazioni nostalgiche, ma politiche pubbliche intelligenti, concrete e coraggiose.
Dare futuro alle aree interne significa dare un futuro più giusto, coeso e sostenibile all’intero Paese.

 

Federico Gori, presidente di Anci Umbria

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